Buongiorno!
Io sono Marco e questa è Deep in Marketing, la newsletter targata Figaro Digital dove ogni settimana leggi cosa hanno fatto bene gli altri per diventare un marketer migliore domani.
Siamo alla prima puntata dell’anno, quindi inizio con gli auguri di rito, un trend dell’anno sarà il “manifesting” quindi non posso che incoraggiarti con un bel “vedrai che quest’anno sarà la svolta” 😂
Tornando seri, oggi ti voglio parlare di un caso emblematico di comunicazione “di crisi" che, vuoi per il periodo di Natale, vuoi perché la gente si era già creata un’opinione forte in merito, ha destato (ingiustificatamente) pochissimo scalpore…
Contesto
Ad Agosto 2024, con qualche mese di ritardo, esce il film “It Ends With Us - Siamo noi a dire basta”, adattamento cinematografico del romanzo di Colleen Hoover che racconta una storia di violenza di genere.
Se ti è capitato di vederlo (in questi giorni è in testa anche su Amazon Prime) dovresti già conoscere la trama. Comunque non è su quello che vogliamo concentrarci oggi.
I due attori protagonisti sono Blake Lively e Justin Baldoni (che tra l’altro è anche il regista). Durante il periodo di lancio della pellicola la comunicazione è tutta concentrata sul loro rapporto contrastato, fatto di conflitti e frecciatine mediatiche.
Lei lo accusa di averle fatto delle avance sessuali e commenti espliciti durante il corso delle riprese. Lui non si presenta mai alle uscite pubbliche insieme a lei, cominciano a uscire dei video di anni fa in cui la Lively sembra sminuire delle vittime di violenza e, piano piano, l’opinione pubblica comincia a schierarsi.
Contrariamente al solito, non per quella che si potrebbe pensare essere la vittima però.
Blake Lively viene definita poco professionale e per niente adatta al ruolo, con parecchi attacchi anche personali e riferimenti alle intromissioni di suo marito Ryan Reynolds; Justin invece riesce a raccogliere un grande consenso anche da parte delle donne, che si schierano dalla sua parte rendendolo quasi paladino delle battaglie contro la violenza e del movimento #metoo.
Il film esce e non è certo un successo che rimarrà negli annali.
Blake ne esce malissimo a livello di reputazione, massacrata dalla stampa e sui social.





La reazione del pubblico è forte e chiara:
Blake è la donna ricca e antipatica che sfrutta il ruolo per ripulirsi l’immagine.
Justin ci ha sì fatto un film, ma poi è stato l’unico che ha saputo sfidarla e far uscire la sua vera natura.
Benché qualcuno abbia provato a derubricare i vari episodi come trovate di marketing create ad arte per far parlare dell’uscita del film (cosa che abbiamo visto spesso), dopo qualche mese (poco prima di Natale) inizia a formarsi una nuova verità.
Precisamente il 21 Dicembre esce una mega inchiesta targata New York Times 👇🏻
La verità ribaltata
Dall’articolo/inchiesta esce fuori che, già prima delle riprese del film e dopo le accuse di “sexual harassment" ricevute, Justin Baldoni si affida a una PR crisis manager molto famosa in US, tale Melissa Nathan (nota per aver aiutato anche Johnny Deep contro la sua ex-moglie, sarà un caso 🙂).
Fino a qui non ci sarebbe nulla di male, peccato che all’interno del documento pubblicato ci siano anche dei messaggi che certificano la volontà di distruggere la reputazione di Blake, in alcuni passaggi si legge chiaramente:

Il piano si articola in pochi step, semplici ma fondamentali per far cambiare completamente le percezioni:
1. CRISIS PR: Tramite i suoi agganci, l’agenzia di PR vieta l’uscita su testate internazionali di tantissimi articoli che potrebbero mettere in cattiva luce il suo cliente, cercando così di sminuire le accuse e ridurle a semplici congetture.
2. Social manipulation: Si individuano i canali dove far uscire post e video per screditare la Lively. In particolare negli screenshot si vede proprio come si voglia creare qualcosa di simile a quello che era successo ad Hailey Bieber.

3. Astroturfing (Engagement selettivo): Dopo la pubblicazione, si parte con l’engagement per fomentare l’odio, un esercito digitale di hater reali o fake, tutti contro il capro espiatorio. In un passaggio si legge anche la frase “All of this will be most importantly untraceable”.
4. Shift the narrative: Cambiare completamente la narrazione attorno al caso è il risultato che si riesce a raggiungere fino all’uscita del film, sapendo che poi pian piano il caso si sgonfierà da solo, ma con una “vittoria” di Justin.

Ora, la questione è in mano a un giudice e sicuramente la giustizia farà il suo corso.
Per fortuna Blake Lively non è l’ultima delle sprovvedute, anzi, tramite degli investigatori privati è riuscita a risalire a questi messaggi che ha portato anche l’agenzia di PR a una crisi reputazionale (guarda un po’ il karma) e a doversi “distaccare” dalla figura di Justin Baldoni.
Ma se fosse successo a qualcuno di meno famoso, come sarebbe andata? Ci saremmo fermati a giudicare quella realtà distorta?
Sui social purtroppo si fa prestissimo a dare giudizi assoluti, a fare processi mediatici senza avere neanche una base di informazione sul tema.
Spero quindi con l’approfondimento di oggi di averti portato a fare quel ragionamento in più, fin dal prossimo caso, perché arriverà presto.
Per chi vuole approfondire (e posso assicurare che ci sono una serie di passaggi a dir poco singolari), lascio qui l’articolo intero del New York Times 👉🏻 Inside a Hollywood Smear Machine
Qui la denuncia ufficiale depositata da Blake Lively, con tutti i retroscena e gli screenshot dei messaggi (che in parte hai visto in questa newsletter) 👉🏻 Compliant Blake Lively vs Wayfarer Studios
Qui un approfondimento, sempre del NYT, che racconta come le PR riescono a manipolare l’opinione pubblica 👉🏻 I’ve Seen Celebrity P.R. Tactics at Work. Blake Lively Is Not Alone.
Ci risentiamo presto!
Un abbraccio,
Marco, Head of Content
👋🏻