👿 Si può morire per un post?
Perché ci mettiamo tutti la toga e il meccanismo delle giurie social.
Buongiorno e buon ritorno su questi schermi.
Io sono Marco e questa è Deep in Marketing, la newsletter targata Figaro Digital dove leggi cosa hanno fatto bene (e male) gli altri per diventare un marketer migliore.
Spero di non averti spaventato troppo con il titolo di oggi, ma il caso lo richiedeva, non solo perché non è il primo del suo genere, ma proprio perché siamo sempre più vicini al limite…
Buona lettura 👇🏻
«Ho dovuto chiudere gli infissi di casa, dalla strada mi stanno lanciando di tutto. Ci sono motorini che girano e gridano: assassino, assassino, assassino»
«Non sto bene, ho ingerito dei farmaci. Non ce l’ho fatta e ho ceduto»
«Sono senza fiato, la mia famiglia è sconvolta. Io sto malissimo, ho paura che mi venga un infarto»
«Non ho retto a tutto l’accanimento mediatico che c’è stato nei miei confronti. Ho commesso un errore, ma non dovevo essere crocifisso in questo modo, mi hanno linciato»
Queste sono alcune delle frasi attribuite all’ormai famoso Professor Stefano Addeo, prima e dopo il tentativo di suicidio che, ancora una volta, ci vede qui a discutere dei fenomeni social.
Ricostruiamo i fatti per capire le dinamiche
Questo il post con cui parte il “processo”, la sera di venerdì 30 Maggio.
Dura circa una notte, l’indomani viene cancellato dall’autore, dopo una sfilza di commenti che, giusti o sbagliati che siano, ti lascio immaginare.
La lezione però non finisce lì, perché il post arriva agli occhi del capogruppo di Fratelli d’Italia Galeazzo Bignami, che pubblica lo screenshot insieme alle sue parole di indignazione su X.
Da lì in poi, il putiferio.
Il Ministro dell’Istruzione dice che verranno presi provvedimenti serissimi, quasi tutta la classe politica si schiera al fianco della Premier.
Il professore è ufficialmente accerchiato, adesso non solo online.
Prima si scusa tramite i giornali, poi addirittura incolpa l’intelligenza artificiale, dicendo di essere stato supportato nel creare un post contro Giorgia Meloni e di averlo (a suo dire “stupidamente”) pubblicato.
Non basterà.
La mattina del 1° Giugno arriva la notizia di una lettera di scuse, in cui Addeo chiede un incontro faccia a faccia per chiarire definitivamente la vicenda. Alcune fonti dicono che la premier sia anche propensa a farlo, ma poi arriva l’altro colpo di scena:
Il tentato suicidio con un mix di farmaci e alcool nel pomeriggio della Festa della Repubblica, annunciato alla preside dell’Istituto (che ha allertato i soccorsi) pochi minuti prima.
Ti faccio leggere alcuni commenti arrivati su Facebook dopo quest’ultima notizia:




Ora, partiamo dal presupposto che nessuno ha la verità in mano, non sapremo mai se è stabile mentalmente, se lo ha fatto per pulirsi la coscienza, se è recidivo con questo tipo di post come dicono alcuni giornali.
E non ci dovrebbe neanche interessare forse, perché altrimenti sbagliamo due volte.
Il Professore ha lasciato ai social una frase che avrebbe detto in un contesto intimo, magari a casa davanti alla tv con la famiglia. Probabilmente l’ha fatto altre volte e gli è andata bene.
Ha sbagliato, è giusto che ne paghi le conseguenze, ma non sta a noi giudicare la “potenza” dei provvedimenti.
La prima cosa che mi viene sempre in mente quando leggo di fatti simili è “menomale che mio nonno non poteva usare i social”.
Perché diciamoci la verità, quando sentiamo quel tipo di frasi durante un pranzo di Natale non ci scandalizziamo mai come lo facciamo quando siamo giudici nel tribunale digitale.
[Ultimamente Facebook me lo immagino sempre più così, l’imputato di turno a tentare di difendersi alla sbarra, gli utenti che si sentono in dovere di dare la propria opinione come giuria.]
COLPEVOLE è il giudizio nella maggior parte dei casi.
È lui ad aver fatto l’errore, io con il mio commento gli sto solo dando quello che si merita.
Vedere che c’è qualcuno che si comporta peggio di noi ci fa sentire meglio, processarlo ci fa sentire dalla parte giusta, con la coscienza un po’ più pulita.
E va bene se ho detto una baggianata simile qualche giorno fa, tanto l’hanno sentita solo i miei amici, non l’ho pubblicata davanti al mondo intero.
Dall’altra parte dico menomale che ci sono i social, perché i casi come questo finivano nel dimenticatoio e i ragazzi a scuola prendevano quell’esempio.
È giusto che finalmente le persone si prendano la responsabilità effettiva di quello che pubblicano, altrimenti l’odio continuerà ad alimentarsi dall’interno delle varie piattaforme.
Quando le persone si schierano tutte insieme per una giusta causa, possono attirare maggiormente l’attenzione e avere un impatto superiore sui comportamenti futuri.
Chi ignora forse è anche complice…
Sarebbe facile dire che la verità sta nel mezzo, ma mai come in questo caso non è possibile trovare il compromesso perfetto.
Ti che ne pensi?
Un abbraccio,
, Head of Content 👋🏻
Hey Marco! Alcune considerazioni:
1) Il Professore dopo aver annunciato il tentato suicidio è stato portato in ospedale. Qui si è rifiutato di farsi sottoporre alla lavanda gastrica con i controlli annessi. La possibilità che sia stato “simulato” per passare lui stesso come vittima non è così remota
2) Indipendentemente da tutto, quando la folla prende di mira qualcuno/qualcosa si comporta come un branco. Questo caso non è immune ma come tanti altri anche più gravi che hanno fatto meno scalpore (o proprio non sono stati neanche riportati dai giornali)
3) Non dimentichiamoci che la colpa è stata data a più cose, al supporto del post, a ChatGPT…